Senza tempo, come in un quadro

Non saprei bene come classificare quello che sto per scrivere: sintetizzando al massimo, forse, la definirei un’intuizione o divagazione teologica. Non so, forse classificarla non è importante, comunque a me piace, mi è utile e ve la propongo, magari piace anche a qualcun altro.

Il libro

L’idea mi è venuta rileggendo un mio libro. Lo so, fa ridere, ma è andata proprio così. Il libro non è ancora stato pubblicato, lo sarà a brevissimo, su Amazon. Si intitola “Non tutti nella capitale” ed è un romanzo ambientato a Fiorano Canavese. Scimmiotta un po’ un giallo, ci sono dei morti, gente che fa indagini, qualcuno viene arrestato, qualcuno riesce a fuggire. Il libro è più che altro una scusa per parlare di spiritualità. In particolare del rapporto tra spiritualità e leggi, di come l’indagine sull’inconoscibile diventa funzionale al come gli uomini costruiscono il loro “stare insieme”. Curiosamente la frase che mi ha più colpito e ha scatenato la voglia di scriverne qui è messa in bocca a quello, tra i personaggi del romanzo, che sembra meno affine alla religiosità, Antonio Spartano, il contabile mafioso che scappa coi soldi.

Ok, direte voi, l’hai scritto tu, stai commentando un’idea che avevi già prima. Questo è il bello: non è così. Il processo di scrivere ha soprattutto questo di bello: riesce a tirare fuori cose che non pensavi prima. Ti ritrovi tra le mani una frase che non sai da dove arrivi, a cui nemmeno fai caso per molto tempo e inizi a considerarla importante mesi dopo.

Va bene, basta con le premesse. Spartano dice, anzi pensa, questa frase in un momento di riflessione, mentre aspetta che la sua complice/amante, Clara, lo raggiunga per dare inizio al loro progetto.

Non riusciva neanche più a ricostruire come e quando questa donna fosse diventata presente nei suoi sentimenti in modo così prepotente. Se fosse successo gradatamente o se non fosse stato così già dal loro primo incontro. Forse addirittura prima, forse la stava cercando da tempo. Forse il tempo non c’era, forse il mondo era solo un quadro e loro due erano semplicemente lì e il tempo serviva solo a raccontarlo quel quadro.

Il quadro

Ecco, mi piace quest’idea del mondo senza tempo, un quadro in cui il tempo è come una piccola luce che, muovendosi lungo un percorso predefinito, illumina pochi pixel alla volta. La nostra coscienza vede solo quella piccola luce, ma il quadro è lì, tutto intero. Il quadro è Dio, o Dio vede tutto il quadro ma è anche qualcos’altro, chi lo sa?

Il tempo è uno dei diversi modi in cui vediamo il quadro. Possiamo spostarci fisicamente nello spazio, ma riusciamo anche a vedere qualcosa di posti in cui non siamo. Con gli occhi vediamo posizioni poco distanti, più indefinite, man mano che ci si allontana. Ma possiamo “vedere” posti lontani nei racconti di chi ci è stato, la tecnologia ci permette di vedere con più chiarezza posti lontanissimi. E lo stesso succede per il tempo. La nostra posizione nel tempo è predeterminata, si muove con costanza (forse) lungo un tracciato che non decidiamo noi, ma anche qui possiamo guardare posti diversi da quello che occupiamo. Possiamo vedere il passato, nei nostri ricordi, nei racconti di altri, nel nostro DNA, nell’erosione delle rocce, nei carotaggi dei ghiacciai. Possiamo anche vedere – o almeno fare delle scommesse convincenti su – futuri più o meno vicini.

Dio mi piace pensarlo così: seduto a contemplare un quadro di cui noi vediamo solo una piccolissima parte. O forse non lo contempla solo il quadro, lo dipinge continuamente. Dipinge particelle elementari che saltano fuori dal vuoto, dipinge galassie, dipinge energie e materie oscure e chissà quante altre cose che non abbiamo ancora scoperto. E dipinge noi.

Il pigmento dell’imperatore

Quando si toccano questi argomenti salta immediatamente alla mente il problema del libero arbitrio. Insomma, noi il quadro lo guardiamo solo? Non ci mettiamo niente di nostro o ne dipingiamo a nostra volta qualche frammento? Siamo delle telecamere o anche dei pennelli o, magari, dei piccoli pittori? Le decisioni che, percorrendo il tracciato temporale che ci è stato assegnato, ci vediamo prendere erano già previste? Frutto di eventi e educazione e pulsioni ormonali che comunque non abbiamo deciso noi?

Mi viene in mente un immagine presentata nella serie Foundation ora su Apple TV, tratta dai libri di Asimov. C’è un dettaglio nella serie con un forte impatto visivo – un dettaglio non presente nei libri originali di Asimov. Lì, la decadenza dell’Impero Galattico viene raccontata soprattutto attraverso logiche politiche e scientifiche, più che con simboli estetici. La serie TV, invece, sceglie spesso soluzioni visive – come questo pigmento cangiante – per esprimere concetti più profondi.

Vi si vede spesso uno degli imperatori, Dusk, quello anziano, passare parte del suo tempo dipingendo una galleria di affreschi che sembrano dipinti con un pigmento che si muove. È in qualche modo animato, ma non nel senso di ridefinire l’immagine, quanto di esaltarla. Le pennellate restano dove il pittore le ha messe, ma si riempiono di dettagli, strutture forse frattali, iridescenti e che si adattano al quadro generale. Ecco, forse noi siamo fatti di quel tipo di pigmento. Aggiungiamo davvero qualcosa al dipinto, e influenziamo anche il pittore in modo che adatti il quadro alle nostre specificità. Le nostre scelte sono nostre, ma prese al di fuori del tempo. Credo che quello che siamo in ultima analisi lo decidiamo noi … ma tutto insieme, nel nostro essere senza tempo. Forse è uno stato di coscienza – o percezione – a cui possiamo davvero accedere. Possiamo avere momenti, forse rari, in cui guardiamo alla nostra vita come un tutt’uno, momenti in cui decidiamo che ruolo vogliamo giocare. Momenti in cui tutti i tasselli della nostra esistenza – i momenti di gioia e quelli tristi, le relazioni che abbiamo avuto, quelle interrotte, quelle che viviamo ora, quelle che nasceranno, i progetti e i fallimenti – sono presenti tutte insieme e modellano la nostra pennellata sul quadro d’insieme.

Vi lascio con un’altra citazione del libro. Qui è la druida Nemein che parla del nostro rapporto con gli dei, il rapporto tra la pennellata e il quadro:

“Credi che gli dei ascoltino queste preghiere?”.

“Sì, credevo fosse così anche per te, se no perché pregarli?”.

” L’unica cosa che si può chiedere agli dei è di aiutarci a capire i loro piani e il nostro ruolo in essi,” disse Nemain sorridendo con calma, i suoi occhi riflettevano la luce delle fiammelle sacre. “Gli dei non parlano attraverso le cerimonie o nei templi di pietra, ma attraverso il vento tra gli alberi, il mormorio dell’acqua, i sogni che visitano il nostro sonno. Ogni persona può ascoltarli, se solo impara ad aprire non le orecchie, ma il cuore”.

9 pensieri su “Senza tempo, come in un quadro”

  1. Anche a me ha colpito in particolare la frase della druida Nemein; e forse te lo avevo già detto, in uno dei nostri scambi dopo la lettura delle prime bozze del tuo libro.

    Mi fa pensare ad una delle più belle preghiere della Cristianità, la Preghiera della Serenità:
    “Signore Dio,
    concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare;
    la forza ed il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare;
    e la saggezza di conoscerne la differenza.”

    Altro spunto che mi hai generato:
    la correlazione tra la descrizione spaziale, puntuale, locale, del quadro e l’evoluzione temporale dell’osservazione, mi ha stimolato un riferimento allo spazio-tempo relativistico.
    Ma non sono bravo come te a sviluppare il concetto 🙂
    Dovrò approfondire il pensiero.

    Buone vacanze, Vins!

    P.S. Però… hai spoilerato il tuo libro: hai rivelato l’assassino (ovviamente è il maggiordomo). Non sei un buon venditore di te stesso 😉

  2. Il mio commento sarà, inevitabilmente, condizionato da un pregiudizio: sono un ateo convinto, nel senso, semplificando, che per me Dio non esiste, è solo un’invenzione necessaria per molti ma non indispensabile per tutti. Una bellissima invenzione, mi verrebbe da dire, perché consente di perseguire la “speranza”, negli innumerevoli modi in cui questo termine può essere interpretato. Altro argomento, affascinante e controverso, si incentra su cosa si intende esprimere con il concetto di “Dio”: entità puramente metafisica, ad un estremo, o il molto più concreto “tutto” – l’universo, la natura, l’insieme di ogni cosa, tangibile e intangibile, specie umana compresa – all’estremo opposto. Intuisco, ma potrei sbagliare, che tu sia orientato decisamente sulla seconda possibilità, piuttosto che sulla prima, tant’è che immagini “un pittore che, nell’usare il pennello, viene influenzato dagli uomini”. Nel contesto in cui lo racconti, pensare ad un quadro e a qualcuno che lo guarda, mi fa venire in mente, chissà perché, un caposaldo della fisica moderna: l’osservare una particella elementare ne modifica le caratteristiche, a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg.

    Tutte le religioni, intese come codifiche culturali, hanno contribuito, sia pure in modo diverso, a fornire strutture, dettagli, spiegazioni, motivi e quant’altro che rendessero accessibile e condivisibile alla specie umana una qualche forma di “essere/i superiore/i”. Ognuna di queste “informazioni”, dal mio punto di vista, è facilmente confutabile a causa di una banale tautologia intrinseca: come potrebbero, degli “esseri inferiori” quali noi siamo, rappresentare il mistero di una superiorità talmente elevata da risultare inconoscibile? Chiunque si proponga di intraprendere un progetto che, su questo argomento, pretenda di fare chiarezza dovrebbe rendersi conto che, per definizione, possiamo solo porci delle domande ma non siamo né mai saremo in grado di trovare delle risposte adeguate e soddisfacenti.

    Mi pare, ma anche in questo potrei sbagliarmi, che la tua ricerca riguardi più specificatamente la spiritualità, nel senso – e anche qui semplifico parecchio! – di proporre un modello di creatura pensante costituita da “carne e spirito”, con quest’ultima componente tutta da scoprire e da riconoscere attraverso azioni individuali e collettive. La mia scelta, invece, è decisamente più banale e perentoria: siamo carne, chimica, conscio ed inconscio inesorabilmente mescolati, senza nulla che vada oltre noi stessi: animali evoluti (?!?), per sintetizzare!

    P.S.
    Cambierei la tua frase “… Il processo di scrivere ha soprattutto questo di bello: riesce a tirare fuori cose che non pensavi prima …” in “… Il processo di scrivere ha soprattutto questo di bello: riesce a tirare fuori cose che non eri consapevole di pensare prima …”.

    1. Ho sempre pensato che l’ateismo fosse una forma di religione: un modo di convincersi di qualcosa che non si può provare. In questo caso giustificato dall’essere le religioni spesso impresentabili.
      Sul concetto di Dio c’è una dottrina abbastanza recente, condivisa dalla Chiesa più progressista – diciamo, si chiama “panenteismo” e mette insieme i due estremi di cui parli: Dio è sia entità esterna che il “tutto” di cui facciamo parte, nel senso che il mondo fa parte di Dio ma non lo esaurisce, c’è di più (come succede con le gambe delle donne).
      Sono assolutamente d’accordo con tutto il paragrafo sulle religioni: di Dio non si possono fornire dettagli, meno che mai precisi, meno che mai da “imporre” a chi vuol entrare nel club.
      E sì, ci hai dato anche con quello successivo, per me l’uomo è carne e spirito. Tra l’altro questa differenza di sensibilità si rivela anche nel tuo post scriptum (questa volta non accetto la correzione ;-)). L’essere consapevole o meno di un’idea per te è qualcosa che sta, più o meno nascosta, in qualche meandro fatto di neuroni, per me invece può stare tranquillamente fuori della carne. Immagino il cervello come una specie di radio che può sintonizzarsi su un mondo più esteso. Forse la scienza darà conto di questa dimensione in futuro, intanto il processo di scrivere “pesca” davvero là fuori …

    2. Ciao PìGì.
      Difficile contestare quanto hai scritto tu.
      Interessante quanto dici, magari hai pure ragione.
      Ma ripeto, è difficile da confutare nello stesso modo in cui è impossibile da provare.
      E vale ovviamente il contrario in modo speculare: non potrai mai dimostrare l’assenza di Dio, come pure nessuno (…ragionevolmente!) ne potrà dimostrare l’esistenza.

      Come dice Vins, ateismo e religione sono due aspetti della stessa medaglia, due fedi che non si incontreranno mai, pur convivendo sempre.

      Aggiungo solo che sì, forse alla fine hai ragione tu, avrai vinto tu la “scommessa di Pascal”, ma io spero invece che prima o poi, al di qua o al di là, ci accorgeremo tutti che non siamo semplicemente e banalmente un ammasso di carne evoluta…
      Che delusione sarebbe!!
      Quanto è più bello CREDERE in qualcosa di più grande di noi, talmente Grande che ci ha creati per amore e ci ha “evoluti” per riuscire a riconoscere il suo amore.
      Io vivo meglio così 🙂

      1. Sono certo che avere “speranza” si traduca nel vivere meglio. Se, invece, qualcuno sostiene l’esistenza di “qualcosa”, qualunque cosa, è a lui che spetta l’onere della prova. In caso contrario, ovviamente, chiunque potrebbe proporre qualsivoglia assurdità senza tema di smentita …

  3. Io lascerei le prove e le dimostrazioni ad altri ambiti più specifici…

    Nel campo della religione, ho sempre pensato che nessuna delle due “controparti” deve (nè potrebbe mai!) provare o negare l’esistenza di Dio.

    1. Poi, PìGì, sai già che io rifuggo ogni Guerra Santa.
      Ma allo stesso modo non concepisco la Guerra Atea.
      Il Dio in cui credo è appunto Amore, tolleranza, rispetto, solidarietà.
      “Deus Caritas Est” ha scritto Papa Benedetto.

      Insisto, le barricate e le contrapposizioni le farei piuttosto verso le tante fake-news pseudoscientifiche che infestano la nostra società.
      Queste sì che hanno la presunzione arrogante di essere frutto di ricerca “non-mainstream”, ed invece bisognerebbe portarle sull’onere della prova e controprova.
      Metodo scientifico galileano.

  4. Non riesco a seguirvi! Vic ha scritto: “… E vale ovviamente il contrario in modo speculare: non potrai mai dimostrare l’assenza di Dio, come pure nessuno (…ragionevolmente!) ne potrà dimostrare l’esistenza…”. Io mi sono limitato – questa, almeno, era l’intenzione – a precisare che non è corretta l’equiparazione esistenza/assenza semplicemente perché, com’è ovvio (metodo scientifico galileiano!) “… Se qualcuno sostiene l’esistenza di “qualcosa”, qualunque cosa, è a lui che spetta l’onere della prova. In caso contrario, ovviamente, chiunque potrebbe proporre qualsivoglia assurdità senza tema di smentita …”. Ho scatenato, per questo, una Guerra Atea? Credo sinceramente che per farlo davvero occorra ben altro!

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