La presentazione a Fiorano

Qualche pensiero a valle della presentazione del romanzo “Non tutti nella capitale” a Fiorano.

video della presentazione

Tecnica

Esperienza caruccia anche il montaggio del video.

Paolo con la sua reflex aveva ripreso la presentazione, registrando anche l’audio direttamente dal microfono wireless che avevo addosso. Laura ha effettuato la ripresa dal balconcino col cellulare, spaziando un po’ sui presenti e, con angolatura diversa, su me e Daniela che conduceva l’intervista.

Questi microfoni DJI sono fantastici, dovrebbero usarli per tutto l’evento. A parte l’assenza di cavi non ti costringono a parlarci dentro e restano comunque molto selettivi rispetto ai rumori ambientali. Il risultato è stato che si sente bene nel filmato anche la mia voce, nonostante la mia imperizia scenica.

Insomma, mi son trovato con due flussi video da mescolare e due flussi audio di cui dovevo usarne uno solo. Non avevo idea di come farlo e ho chiesto alla solita AI (in questo caso Gemini), che mi ha guidato a installare sul Mac “DaVinci Resolve”, un famoso programma di editing video, piuttosto complesso da usare. Seguendo le istruzioni, dopo un’oretta di lavoro avevo il filmato pronto. Avrebbe potuto essere migliore (avrei potuto stupirvi con effetti speciali): magari un titolo non avrebbe guastato, come qualche commento sottotitolato.

La differenza di taratura colore tra le due sorgenti video resta evidente: le scene riprese dal cellulare risultano meno sature. Ma ho preferito privilegiare il “time to market”, e habemus videum.

Lo show

Buttare sul palco una persona timida è la garanzia di ottenere vocette stridule e un articolazione impacciata delle parole. Riguardando il video mi salta all’occhio la mia bella panzotta che certo non fa physique du rôle da scrittore (ma non sto cercando mugliera e va bene così).

La cosa che mi infastidisce di più, invece, è di essere stato talmente nel pallone da non riuscire a esprimere alcune cose decentemente (eh sì, la scrittura ha tutta un’altra “banda passante”, per dirla alla tecnologica), e nemmeno a cogliere gli assist che la bravissima Daniela Negro mi ha offerto.

Insomma, questo post è una specie di “Errata Corrige” del video.

La presentazione del libro, se lo scopo era incuriosire qualcuno a darci un’occhiata, poteva anche passare, ma sicuramente non sono riuscito a esprimere la parte più sostanziosa.

Il problema

Nella presentazione ho detto che la spiritualità è una cosa importante per me, ho giustificato questa importanza dicendo che per risolvere i grandi problemi dell’umanità – le guerre, la crisi climatica (e aggiungerei il modello di vita che proponiamo alle nuove generazioni) – serve una crescita personale degli individui, un coltivare le coscienze degli uomini.

Ora mi posso immaginare un non credente che mi risponde “Ok, su questo siamo d’accordo, ma io lo chiamo educazione. Non c’è bisogno che sia un’educazione religiosa o spirituale: tante persone non credenti hanno solidi principi morali”.

Di fronte alla stessa affermazione un credente risponderebbe: “Certo, la mia Chiesa dice esattamente la stessa cosa”.

Eppure i problemi di cui sopra continuano a esserci e sembra anzi che aumentino sempre di più. Dove sta il problema?

Secondo me nel fatto che questi principi morali sono esterni. La visione dell’uomo che entrambi i gruppi hanno mi sembra essere quella di una belva da ammaestrare e l’etica è la frusta che tenta di assoggettarli.

No, neanche per i credenti l’etica nasce dall’interno, anche se molti credenti affermano il contrario. È vero che nessuno ti obbliga a credere e quindi qualsiasi costrizione etica di natura religiosa di fatto ognuno se la auto-impone. Ma resta comunque esterna, deriva quando va bene da un senso di riconoscenza verso un’astrazione, quando va male dalla paura. Il manifesto della religione Cattolica, ad esempio, è grosso modo questo: Dio ci ha creati, e per dovere di riconoscenza dobbiamo vivere secondo i suoi comandamenti (e comunque se non lo facciamo c’è una punizione in attesa).

Pur nel rispetto di chi abbraccia questa visione, a me appare poco convincente. Soprattutto perché tendo a vedere le costruzioni religiose come opere intrinsecamente umane.

Sono uomini come noi che hanno stilato quei comandamenti, che hanno inventato quelle punizioni. Esattamente come nel caso dei non credenti: i pensieri guida che ci diamo li prendiamo da chi è vissuto prima di noi. Non che siano necessariamente sbagliati, sono probabilmente il meglio che si poteva tirar fuori nell’epoca in cui sono nati. Ma restano limitati, migliorabili.

Detto questo non è che abbia una soluzione da offrire: anche quello che proverò a dire ora deriva da pensieri di altri uomini e avrà tutti i limiti del caso. Semplicemente quello che vedo sono due gruppi di persone che cercano di risolvere lo stesso problema e, anziché cercare sinergie, sprecano tempo a combattersi. Quindi ci provo.

Una vaga idea di soluzione

Cominciamo a ribaltare il messaggio religioso. Cominciamo da quel “Dio ci ha creati”. Potremmo, in teoria, già fermarci alla parola “Dio”, sulla cui esistenza o meno si sono spesi fiumi di parole, ma le trovo parole inutili. Che un Dio esista non lo possiamo né affermare né negare. Ma che esistano cose che la razionalità non sa almeno per il momento spiegare è altrettanto certo. Pensate alla coscienza, o alla bellezza.

Quindi diamolo, per un momento, come accettato il fatto che viviamo immersi in un mistero, in una nebbia che non riusciamo a dissolvere. Se ti svegli un mattino avvolto nella nebbia, magari con un amnesia per cui non ricordi niente, non è che pensi “Qualcuno mi ha creato”. Pensi “Sono in mezzo a qualcosa che non capisco”, cominci a curiosare in giro per capirci qualcosa.

Poi incontri altre persone e, di nuovo, non pensi “Qualcuno ci ha creati”, cominci a scambiare informazioni con loro, “là c’è una strada”, “da quella parte si sente il rumore di un fiume”, “ho trovato qualcosa da mangiare”.

La nostra vita è questa nebbia, secondo me. Magari non ce ne accorgiamo, presi dagli stimoli quotidiani e dalla danza insensata della società. Ma basta fermarsi un istante per percepirla.

E insieme alla nebbia, si percepisce anche uno sprazzo di luce, qualcosa in grado di fenderla. Una luce fievole, incerta, ma che abbiamo dentro.

C’è un concetto che è in qualche modo sottinteso a qualsiasi religione, e che, seppure più in sordina, credo appartenga anche al pensiero di molti non credenti: noi, come singoli individui, non siamo così importanti. Continueremo a nascere e a morire senza aver capito molto, senza aver cambiato davvero il corso della storia.

Quello che invece può avere importanza è l’umanità nel suo insieme, o meglio ancora il mondo intero. La nebbia si dirada quando ci riconosciamo parte di un sistema più vasto. I nostri drammi personali e persino la nostra esistenza si ridimensionano di fronte alla grandezza del tutto di cui facciamo parte.

Ed è proprio da quel punto di vista che la nostra fiammella interiore comincia a brillare: perché si unisce, si rafforza, si alimenta delle altre fiammelle che ci circondano.

E questo, qui parlo da credente – è lo stesso sguardo che ho affidato a Enzo Gianelli nel romanzo – non sminuisce l’idea di un rapporto diretto col Creatore, per chi lo sente necessario. Anzi: credo che sia lo stesso movimento interiore. Guardare al mondo da quell’angolazione significa proprio cercare di vederlo dalla prospettiva di Dio.

Evoluzione e Cultura

E allora l’unico modo di uscire dalla nebbia, di cominciare a capirci qualcosa, è di prestare attenzione al percorso dell’umanità nel suo insieme, nella sua storia.

In questo blog sto coltivando un’idea: interpretare il momento che l’umanità sta vivendo oggi come il tentativo di superare l’evoluzione. (vedi Evoluzione contro Cultura)

Per oggi intendo alcune migliaia di anni, davvero le nostre vite sono insignificanti anche come durata. L’evoluzione, la modifica pseudo-casuale del nostro DNA accompagnata dalla selezione naturale, ci ha guidati ad essere quello che siamo.

Da quando, chissà come, abbiamo sviluppato un’intelligenza, stiamo provando ad affrancarci dall’evoluzione stessa. Lo facciamo guidati da quelle fiammelle interiori di cui parlavo sopra, immaginando un modo nuovo di esistere.

Quello che ci rallenta sono proprio gli istinti che ci hanno permesso di arrivare fin qui. L’avidità, la lussuria, la rabbia, la paura: sono serviti egregiamente all’animale per diventare uomo.

Altri istinti, come la compassione, ci servono ancora (don Luca, nel romanzo, li chiama istinti collettivi in un discorso ai suoi ragazzi) e dobbiamo coltivarli. Degli altri stiamo cercando il modo di liberarci.

Concetti religiosi come il peccato, o le stesse leggi, gli insegnamenti dei grandi Maestri dell’umanità – compreso Gesù di Nazareth – sono strumenti utilizzati in questo senso. Non tutti efficaci, magari: io sul concetto di peccato ho grosse remore e preferirei puntare sul concetto opposto, quello di gioia.

Ma la prospettiva, secondo me, è valida e può essere alla base di un lavoro che credenti e non credenti possono affrontare insieme.

Ma chissei

Un’ultima nota che credo sia importante aggiungere. Con Daniela Negro ci siamo conosciuti appena prima dell’evento. Abbiamo fatto due chiacchiere per capire che taglio dare, se c’erano cose particolari che avrei voluto affrontare.

E lì, dopo che ho provato a presentare a lei la parte “seria” del romanzo, mi ha chiesto: “Ma tu che preparazione hai, a che titolo vuoi parlare di queste cose?”. Forse non sono le parole esatte che ha usato, ma il senso era quello. Poi la domanda non me l’ha fatta in pubblico: non deve esserle piaciuta la risposta.

Perché la risposta è stata “Assolutamente nessuno”.

Non ho assolutamente nessun titolo per parlare di queste cose, se non il fatto di averci riflettuto a lungo, di averne fatto una ricerca personale per tutta la vita.

Mi chiedo però quali potrebbero essere i titoli più affidabili. Qui stiamo parlando di un tema che incrocia religione, filosofia, fisica, medicina, scienze sociali, psicologia, politica, storia e chissà quante altre discipline, forse l’essere esperti di una o poche di queste può essere addirittura controproducente a tentarne una sintesi (se vai da un chirurgo con qualsiasi malattia lui ti propone di sottoporti a un’operazione).

Sono convinto che una ricerca sul senso della vita sia qualcosa che tutti siamo chiamati a fare. Qualcosa su cui sarebbe bene che chiunque sente di aver qualcosa da dire lo facesse. Alla peggio sarà stato inutile.

E se qualcuno che esperto in qualche sfaccettatura del tema vorrà provare a correggermi sarò lieto di fare tesoro dell’insegnamento.

Questo blog è il mio tentativo di attraversare la nebbia insieme a chi vorrà farlo con me.

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