Viviamo immersi nella comunicazione. Parliamo, scriviamo, commentiamo, postiamo, ascoltiamo podcast, leggiamo articoli, partecipiamo a dibattiti, a volte scendiamo in piazza. Comunichiamo per informarci, per esprimerci, per convincere, per consolarci. Ma quanto di questa comunicazione serve davvero a farci crescere, come individui e come collettività?

La domanda può sembrare vaga, ma è essenziale: in che modo la comunicazione può generare progresso?
E per “progresso” non intendo uno slancio cieco verso il nuovo, ma qualcosa di più profondo: un avanzamento del pensiero condiviso, un miglioramento dell’intelligenza collettiva, una società che non si limita a sopravvivere, ma cerca attivamente il bene comune.
Per esplorarla, bisogna prima capire quali sono i modi in cui comunichiamo oggi.
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Una mappa delle voci
Comunichiamo in molti modi diversi, a molteplici livelli. Alcuni esempi:
- Comunicazione diretta: faccia a faccia, a due, in gruppo, in assemblea, in piazza.
- Comunicazione mediata: telefonate, chat, lettere, email, social network.
- Comunicazione artistica o simbolica: musica, pittura, cinema, fotografia, architettura.
- Comunicazione pubblica: giornali, blog, telegiornali, podcast, pubblicità.
- Comunicazione istituzionale: leggi, regolamenti, sentenze, propaganda.
- Comunicazione intima o interiore: diario, meditazione, preghiera.
Ognuna ha i suoi strumenti, i suoi limiti, il suo potenziale. Alcune sono adatte al confronto diretto, altre alla sedimentazione del pensiero. Alcune sono bidirezionali, altre a senso unico. Alcune richiedono tempo, altre si consumano in un istante.
Ma non tutte queste modalità aiutano a creare qualcosa di nuovo insieme. Per capire quali sì, dobbiamo cambiare prospettiva.
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Comunicazione generativa: quando nasce qualcosa che prima non c’era
La maggior parte delle comunicazioni che incontriamo nella vita quotidiana è finalizzata a trasmettere qualcosa: un’informazione, un’emozione, un’opinione. Più raramente ci troviamo coinvolti in forme di comunicazione che fanno nascere qualcosa: un’intuizione nuova, una visione condivisa, una sintesi.
Chiamiamola comunicazione generativa: quella in cui la verità non è posseduta da nessuno, ma emerge dall’incontro. Non è un insegnamento, è una scoperta collettiva.
Come in una jam session musicale, nessuno conosce la melodia in anticipo, ma ognuno contribuisce ad ascoltarla emergere.
Perché questo accada, servono alcune condizioni:
- Ascolto autentico
- Reciprocità e fiducia
- Spazio per l’incompleto e il provvisorio
- Curiosità, non giudizio
- Capacità di rilanciare, non solo rispondere
- Tempo per la sedimentazione
Eppure, anche quando queste condizioni ci sono, sorge un’altra tensione…
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Chi ha voce? E quanto forte può parlare?
Una società che comunica per crescere dovrebbe dare voce a tutti. Ma deve anche saper distinguere: non tutte le parole sono uguali, non tutte le idee hanno lo stesso peso.
Questa è la tensione tra inclusività e profondità.
Se chiunque può parlare, ma nessuno ha il diritto di essere ascoltato con più attenzione, si rischia il caos, la confusione, il rumore.
Ma se si concede solo a pochi il diritto di parola, si rischia l’élite, l’esclusione, l’arroganza.
Serve allora una forma di riconoscimento dell’autorevolezza che non sia autoritaria.
L’esperto, il saggio, il pensatore profondo hanno un ruolo: non per imporre verità, ma per facilitare l’emergere di qualcosa di più vero, aiutare il gruppo a pensare meglio.
Come un maestro che non dà la risposta, ma pone la domanda giusta.
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Il problema della distanza: la piramide di sabbia
Ma anche questo non basta. Perché anche la voce più profonda, se si alza troppo sopra le altre, non viene più riconosciuta.
E non solo per ignoranza, ma anche per sfiducia.
Viviamo in un’epoca di legittima diffidenza verso chi detiene il sapere. L’esperto spesso appare come colui che trae vantaggio dalla sua posizione: visibilità, potere, denaro. Questo compromette l’ascolto. La saggezza diventa sospetta, anche quando è autentica.
È qui che nasce l’immagine che tengo al centro di questo pensiero: una piramide di sabbia.
L’intelligenza collettiva, come una piramide fatta a mani nude, può crescere solo se la base si innalza insieme al vertice.
Se il dislivello diventa troppo grande, la struttura cede.
La punta scompare, la sabbia si sparge.
In questa metafora, la comunicazione generativa è possibile solo se accompagnata da educazione.
Educazione non come imposizione, ma come nutrimento.
Ogni buona comunicazione deve aiutare chi ascolta a diventare capace di ascoltare meglio.
Ogni parola deve essere anche un invito a crescere, non solo un’informazione da consumare.
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Un’ipotesi radicale: l’autorevolezza anonima
C’è però un’idea che mi affascina, e che vorrei proporre con cautela.
Se il problema è il sospetto verso chi parla, e se al tempo stesso qualcuno deve pur parlare con voce più alta,
forse possiamo immaginare un modello in cui le idee viaggiano senza firma, ma portano con sé la reputazione del pensiero che le ha precedute.
In altre parole: le idee di un “saggio” ricevono attenzione, ma nessuno sa chi è.
Non c’è branding personale. Non c’è vantaggio politico. Non c’è vanità.
È come se ci fosse un “credito” accumulato di pensiero profondo, ma applicato alle parole, non alla persona.
Certo, questo comporta rischi:
- Chi controlla il sistema?
- Come si replica alle idee?
- Che ne è della responsabilità?
Ma apre anche prospettive:
- Un ascolto più puro, meno viziato dal pregiudizio
- Una cultura in cui si valutano i contenuti, non i contenitori
- Una forma di meritocrazia umile, al servizio del pensiero collettivo
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Comunicare per innalzare il suolo
Alla fine, tutto torna a questa immagine: non si può costruire nulla in alto, se non si innalza anche la base.
Il dialogo che fa crescere è lento, generativo, educativo.
Non semplifica, non polarizza, non urla.
Non zittisce nessuno, ma non finge che tutte le voci siano uguali.
Una società che vuole davvero crescere deve imparare a comunicare in questo modo:
con pazienza, con apertura, con senso del tempo.
Perché la sabbia è mobile, ma sa anche costruire dune.
E a volte, se c’è abbastanza vento condiviso, perfino piramidi.
un altro articolo scritto da ChatGpt dopo una lunga conversazione. Le idee espresse sono grosso modo mie, l’AI le ha messe in bella e io ho rivisitato il tutto.
Siamo sommersi, affogati, dispersi nell’infinito oceano della comunicazione, a prescindere dalla nostra volontà e dalle nostre scelte personali. Le tue proposte – dimenticando, per un momento, la collaborazione con ChatGpt che, sinceramente, mi convince molto poco perché ritengo che tu sia ben capace di esprimere le tue idee senza supporti esterni – sono, come quasi sempre, condivisibili. Il come arrivarci, le condizioni da applicare e la reale possibilità che ciò accada mi appaiono difficili, se non impossibili, almeno nel contesto corrente. Educazione, pazienza, apertura, senso del tempo, fiducia nel prossimo, ingredienti indispensabili ancor prima di cominciare una qualsivoglia costruzione, sono ormai e purtroppo rarissimi da reperire sul mercato del pianeta. Certo, la sabbia è mobile ma sa anche costruire. È altrettanto vero però che, se pure ci fosse abbastanza vento condiviso, non ha mai edificato nessuna piramide!
Sulla nota pessimistica finale non sono d’accordo. Nella storia dell’umanità ci sono stati sensibili progressi in ogni campo. Tanti hanno educato, hanno condiviso sapere, hanno avuto fiducia nel prossimo e nel tempo. Quanto al mio nuovo compagno di scrittura non credo sia questione di essere in grado o meno di esprimere. Ho iniziato a usarlo come taccuino intelligente, uno strumento per mettere in ordine le idee, magari riempiendo i buchi. Poi ho scoperto che mi piace dialogarci, mi stupisco sempre di più di quanto sembri umano. Ma, anche sforzandomi di tener presente che è una macchina, diventa un simpatico modo di riflettere. In genere, una volta che ho raccolto i pensieri scrivo io, ma mi son reso conto che in fase di stesura mi vengono in mente altre cose e finisco per rendere il tutto un po’ meno coerente. Queste ultime volte mi è piaciuto il risultato e ho usato lui come ghost writer per congelare il discorso allo step di maturazione che vedevo in quell’istante. Esperimenti.
Il mio pessimismo nel finale era, in realtà, una piccola provocazione ingegneristico-architettonica: per una piramide servono blocchi calcarei compatti, con la sola sabbia non starebbe in piedi soprattutto in presenza di vento condiviso!
Credo di capire meglio, adesso, la tua collaborazione con ChatGpt: esperimenti e niente di più! Tu, quanto meno, lo dichiari apertamente mentre sono convinto che moltissimi altri usano il marchiostato in modo inappropriato, prendendosene il merito …